Era il senso
della bellezza…
“Era il senso della bellezza che la liberava
di colpo dall’angoscia e la riempiva di un nuovo desiderio di vivere”
(Miran
Kundera, L’insostenibile leggerezza
dell’essere)
EDGAR DEGAS
Inquadratura seducente e audace, uno scorcio tra un silenzioso
corridoio e una rumorosa classe di danza.
Un piccolo spiraglio in quello che è l’animo di Degas. Piccolo ma al
contempo grande, data l’influenza che ha avuto e che continua ad avere
all’interno del mondo dell’arte.
Sinuose gonne di tulle e bizzarri fiocchetti colorati, a cingere busti
e ordinati chignon.
Piedi
puntati, muscolatura contratta, collo teso, braccia unite verso l’altro a
designare un semicerchio: il tutto è frutto di un lavoro costante, di una
disciplina rigida e severa, inculcata dal maestro, figura autoritaria, che
vigile e attento segue con lo sguardo ogni passo delle sue allieve, scandendo
il tempo con un bastone.
La musica ha
inizio: tutto sembra annullarsi, dissolversi nei suntuosi volteggi delle
giovani danzatrici, che fluttuano all’interno di quell’aula talvolta ostile, ma
allo stesso tempo l’unico posto in cui si sentono libere di esprimere a pieno i
propri sentimenti, la propria essenza.
Degas ci
invita ad entrare nella sala di danza,
dove vi accediamo in punta di piedi, facendo quasi attenzione a non
turbare l’atmosfera tesa e sospesa e ci ritroviamo catapultati nel suo mondo:
volteggi, salti, sguardi attenti, grazia, eleganza; le ballerine sono ritratte
dall’artista nei loro atteggiamenti abituali e riprese da angolazioni a taglio
fotografico, ponendo attenzione ai dettagli e ai particolari giochi che la luce
crea colpendo gli oggetti e i soggetti da lui rappresentati, e lo fa accostando
colori pastello complementari, conferendo luminosità all’insieme.
In questo
modo si discosta in parte dalla tecnica impressionista, che porta sulla tela la
vita mondana borghese, dipingendone solo i lati gradevoli, utilizzando la
pittura en plen air, che vuole rappresentare la bellezza e il progresso della
civiltà attraverso il paesaggio.
È evidente
che l’artista veda nella donna una capacità, quella di danzare e di muoversi,
tale da procurare un piacere, che è quasi del tutto inconscio; ci spinge così a
voler prendere il loro posto, poiché sono pure, eleganti ed è come se vedesse
in loro una perfezione umana, data dall’equilibrio e dalla sobrietà. Un
equilibrio che oltre ad essere fisico è soprattutto mentale e che egli ritrova
solo nelle sale di danza, l’unico posto in cui è sereno.
Altro
elemento che lo differenzia dai suoi colleghi e che lo caratterizza è
l’utilizzo della memoria: in un primo momento delineava a matita i tratti
principali con la tecnica del disegno, in cui eccelleva, era in un secondo
momento, in studio, che il dipinto prendeva vita, forma, colore e anima.
“Va molto bene copiare ciò che si
vede; molto meglio disegnare ciò che non si vede più, se non con la memoria: è
una trasformazione nella quale l’immaginazione collabora con la memoria, così
che non si riproduce che quello che ci ha colpiti, ossia lo strettamente
necessario.”
Da questa citazione emerge il suo pensiero stilistico, in quanto egli
non vuole limitarsi a dipingere rappresentando la realtà oggettivamente, ma dà
un tocco personale e del tutto soggettivo ad ogni pennellata.
È questa la peculiarità di Degas: cogliere l’essere umano nel suo
naturale comportamento, cogliere l’attimo (concetto fondamentale
nell’Impressionismo).
Il binomio pesantezza - leggerezza è evidente nell’opera “Classe di danza” dove la ‘pesantezza’
della tecnica e della disciplina sembra quasi scontrarsi con la ‘leggerezza’
dei corpi che volteggiano perdendosi in una melodia soave; lo stesso binomio,
che è al contempo un contrasto, è lo stesso
presente nell’animo umano; l’artista si fa tramite e media tra le due,
rappresentandole e soffermandosi su particolari, che danno all’opera un tocco
di credibilità in più, instaurando un rapporto di complicità e partecipazione
con noi spettatori, che, vedendo le ballerine danzare, possiamo avvertire e
vivere il senso di libertà, cogliendo così l’invito di Degas a lasciarci andare
e a guardarci dentro, compiendo un processo di introspezione, contemplando un
“sublime” che non è più la ‘natura’ come con Friedrich, ma l’arte della danza.
“Art is not what you see, but what you make others see.”
-Edgar Degas
L’ arte dunque è da sempre, e sarà, con tutte le sue forme, pittura, scultura,
fotografia e danza, espressione e liberazione di sentimenti, una vera e propria
catarsi di emozioni positive e negative.
D’altronde l’animo umano è proprio questo: un insieme complesso e
coordinato , in cui coesistono parallelamente e paradossalmente forze contrarie
che tendono ad equipararsi.
Essendo l’arte lo specchio dell’uomo stesso, non può rinunciare alla
pesante leggerezza e alla leggera pesantezza della propria anima.
Ma cosa intendiamo per leggerezza? La leggerezza, forse, al giorno
d’oggi, non è più la leggerezza interiore, del proprio ego, con cui gli artisti
hanno dato forma alla storia dell’arte. Quella leggerezza che andava oltre gli
schemi del tempo, quella voglia di osare, di andare oltre il banale, il
consueto.
C’è una sola verità: pittori, scrittori, architetti, medici, fotografi,
siamo tutti retti da una parte infantile priva di ragione. Rappresentativo è
l’amore, che fa paura proprio perché diventa una forma di unione e di libertà
interiore.
Per questa leggerezza del nostro essere, non sembra esserci una ragione
profonda e reale dell’esistenza.
Tutto risulta esclusivamente momentaneo, come se tutto ciò che le persone
sono è ciò che vivono nell’istante. Come se la vita fosse una somma di attimi
che si susseguono l’uno dopo l’altro, secondo un ritmo incessante in cui si fa
fatica a riconoscere ciò che conta davvero.
Potremmo, dunque, riassumere la leggerezza dell’essere in una locuzione
latina: carpe diem?!
Cogliamo l’attimo nelle sue mille sfaccettature e cambiamenti come
erano soliti fare i pittori dell’ ‘800? Immersi nella leggerezza, nella
bellezza dalla natura. Oggi cogliere l’attimo è il momento da immortalare solo
per postarlo su qualche social, per apparire.
Sarebbe forse più esatto parlare quindi, non più di leggerezza
dell’essere, ma del peso della leggerezza.
“Ma davvero
la pesantezza è terribile e la leggerezza meravigliosa?” (L’insostenibile leggerezza dell’essere,
Milan Kundera)
Roberta Soranna, Alessia Punzi, Ersilia Zingarelli
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